
" FRAMMENTI DI VITA ... SU UN PALCO"
Il Teatro per annunciare il Vangelo
Nel cuore dell’agosto 2013 l’ANSA batte una notizia: «Compie 40 anni Jesus Christ Superstar». Non si riferisce al musical omonimo, che era già uscito nel 1970 come doppio album e che, nell’ottobre dell’anno successivo, calcò le scene di Broadway rimanendovi per ben diciotto mesi, ma al film di Norman Jewison, che diede una forma definitiva alla messa in scena di uno spettacolo che – riferisce sempre la nota agenzia - «non è solo uno dei più clamorosi successi della storia del musical, ma l’ha cambiata per sempre».
D. Giuseppe Spedicato all’epoca non aveva neppure varcato la soglia delle elementari. Oggi si ritrova in pieno in un genere artistico, che non soltanto è molto diffuso ma è divenuto una via privilegiata anche per l’evangelizzazione. La lista è oramai lunga. Si va da Forza venite gente di M. Paulicelli a La Lauda di Francesco con le musiche di A. Branduardi, da Chiara di Dio di C. Tedeschi al Don Bosco e Madre Teresa di P. Castellacci. Alcuni di questi musical sono stati portati in scena anche dai ragazzi e dai giovani di d. Giuseppe. Poi, come si sa, «il gusto vien mangiando» e così d. Giuseppe si è arrischiato anch’egli in questo genere di avventure.
Alcuni anni or sono, col cipiglio dell’antico professore, gli domandai se così facendo non stesse girando attorno alla questione «pastorale»; se, insomma, immesso ormai nel nuovo ufficio di parroco, non dovesse avere altre priorità ...! Mi rispose, con tono sincero, che non era d’accordo. Oggi comprendo che con quel mio «appunto» mostravo di non essere ancora in sintonia con quel bisogno di cercare nuovi linguaggi di annuncio, che pure da tempo Giovanni Paolo II aveva richiamato:«Occorre integrare il messaggio stesso in questa “nuova cultura” creata dalla comunicazione moderna. È un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici» (Redemptoris Missio, n. 37).
Oggi, i giovani soprattutto si nutrono di linguaggi «altri», rispetto a quelli cui in tanti si è ancora abituati; linguaggi che, certo, trasmettono «dottrina» e «morale» (ci mancherebbe!), ma non sempre (purtroppo) trasmettono la fede! Ha scritto tempo fa Ugo Sartorio, il francescano per lungo tempo alla guida de Il Messaggero di Sant’Antonio: «Il linguaggio utilizzato dalla Chiesa per comunicare il Vangelo è un linguaggio ingessato, stereotipato, che sa di vecchio ed è imbevuto di noiosa retorica, per cui invece di suscitare interesse è un invito a staccare la spina». Ora, la scelta di procedere sulla via del musical religioso, se ben fatto e con tutti i crismi religiosi, spirituali e artistici è, al contrario, un invito a restare connessi.
E non è per nulla un girare attorno al problema pastorale, ma starci dentro. Cosa comporta, difatti, avventurarsi in un musical? Vuol dire, anzitutto, stare con la gente, entrare in relazione con persone le più varie per età, competenze, attitudini artistiche, tecniche ecc. Incontrare la gente! È quello che manca ad una pastorale troppo burocratica, troppo legata alle cose da fare e un po’ (o molto?) trascurata nell’incontrare la gente. Una pastorale fatta di relazioni! È un passo importante, anzi decisivo.
E poi incontrare gente per raccontare «storie» (del Signore, della Vergine, dei Santi, dei testimoni della fede) e, così, entrare pian piano, con rispetto e discrezione, pure disposti a rimanere sulla soglia …, nella storia unica, originale, irripetibile di ciascuno. E farlo col gesto accogliente dell’amico e, poi, col cuore del ministro del Vangelo della misericordia.
Cos’altro? Vuol dire coinvolgere chi canta, chi danza ... il «tecnico» audio e quello del suono, il costumista e lo scenografo. Tutta gente che di professione fa altro, ma custodisce nel cuore un desiderio, che nell’intimità della casa coltiva un hobby che ora può donare agli amici… Tutto questo per giorni e per mesi, scegliendo le ore serali in cui è più facile stare insieme, ritrovarsi, fare tardi…
E così si rinsaldano i vincoli, si allargano gli spazi della comunione, ci si ritrova alla Messa domenicale per l’incontro col Signore e anche per l’incontro fra amici. Così la Domenica non è più un precetto, ma un bisogno che urge nel cuore di chi è credente senza cessare di essere uomo, donna, amico,giovane, anziano, malato perfino, abitante nello stesso quartiere, nello stesso condominio. E la parrocchia si riscopre pian piano famiglia di famiglie. Sì, non si gira attorno alla pastorale, ma si fa pastorale. Si diventa «pastori». Desideravo metterlo in luce, ora che d. Giuseppe celebra i vent’anni dalla sua ordinazione sacerdotale.
Non ho ancora detto nulla su questi «frammenti di vita … su un palco». Finirò con quattro parole, giacché quattro sono le storie. Il loro ordine? Forse meglio partire dal centro, ossia da quell’Innocente messo sotto processo, messo sopra una croce, messo nella Gloria. L’Apocalisse lo chiama Amen, Testimone fedele e verace (3,14). Poi ci sono due suoi testimoni: uno antico, Agostino con la sua madre; uno moderno, Giovanni Paolo II, fra non molto iscritto anch’egli nell’elenco dei santi. Da ultimo, una storia che può diventare la storia di chi sostenuto da testimoni, testimone può diventarlo anch’egli.
Scrive Papa Francesco nella sua prima enciclica: «Il passato della fede, quell’atto di amore di Gesù che ha generato nel mondo una nuova vita, ci arriva nella memoria di altri, dei testimoni, conservato vivo in quel soggetto unico di memoria che è la Chiesa» (Lumen Fidei, n. 38).
+ Marcello Semeraro
Vescovo di Albano Laziale
http://loradelsalento.diocesilecce.org/frammenti-di-vita-su-un-palco
Il Teatro per annunciare il Vangelo
Nel cuore dell’agosto 2013 l’ANSA batte una notizia: «Compie 40 anni Jesus Christ Superstar». Non si riferisce al musical omonimo, che era già uscito nel 1970 come doppio album e che, nell’ottobre dell’anno successivo, calcò le scene di Broadway rimanendovi per ben diciotto mesi, ma al film di Norman Jewison, che diede una forma definitiva alla messa in scena di uno spettacolo che – riferisce sempre la nota agenzia - «non è solo uno dei più clamorosi successi della storia del musical, ma l’ha cambiata per sempre».
D. Giuseppe Spedicato all’epoca non aveva neppure varcato la soglia delle elementari. Oggi si ritrova in pieno in un genere artistico, che non soltanto è molto diffuso ma è divenuto una via privilegiata anche per l’evangelizzazione. La lista è oramai lunga. Si va da Forza venite gente di M. Paulicelli a La Lauda di Francesco con le musiche di A. Branduardi, da Chiara di Dio di C. Tedeschi al Don Bosco e Madre Teresa di P. Castellacci. Alcuni di questi musical sono stati portati in scena anche dai ragazzi e dai giovani di d. Giuseppe. Poi, come si sa, «il gusto vien mangiando» e così d. Giuseppe si è arrischiato anch’egli in questo genere di avventure.
Alcuni anni or sono, col cipiglio dell’antico professore, gli domandai se così facendo non stesse girando attorno alla questione «pastorale»; se, insomma, immesso ormai nel nuovo ufficio di parroco, non dovesse avere altre priorità ...! Mi rispose, con tono sincero, che non era d’accordo. Oggi comprendo che con quel mio «appunto» mostravo di non essere ancora in sintonia con quel bisogno di cercare nuovi linguaggi di annuncio, che pure da tempo Giovanni Paolo II aveva richiamato:«Occorre integrare il messaggio stesso in questa “nuova cultura” creata dalla comunicazione moderna. È un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici» (Redemptoris Missio, n. 37).
Oggi, i giovani soprattutto si nutrono di linguaggi «altri», rispetto a quelli cui in tanti si è ancora abituati; linguaggi che, certo, trasmettono «dottrina» e «morale» (ci mancherebbe!), ma non sempre (purtroppo) trasmettono la fede! Ha scritto tempo fa Ugo Sartorio, il francescano per lungo tempo alla guida de Il Messaggero di Sant’Antonio: «Il linguaggio utilizzato dalla Chiesa per comunicare il Vangelo è un linguaggio ingessato, stereotipato, che sa di vecchio ed è imbevuto di noiosa retorica, per cui invece di suscitare interesse è un invito a staccare la spina». Ora, la scelta di procedere sulla via del musical religioso, se ben fatto e con tutti i crismi religiosi, spirituali e artistici è, al contrario, un invito a restare connessi.
E non è per nulla un girare attorno al problema pastorale, ma starci dentro. Cosa comporta, difatti, avventurarsi in un musical? Vuol dire, anzitutto, stare con la gente, entrare in relazione con persone le più varie per età, competenze, attitudini artistiche, tecniche ecc. Incontrare la gente! È quello che manca ad una pastorale troppo burocratica, troppo legata alle cose da fare e un po’ (o molto?) trascurata nell’incontrare la gente. Una pastorale fatta di relazioni! È un passo importante, anzi decisivo.
E poi incontrare gente per raccontare «storie» (del Signore, della Vergine, dei Santi, dei testimoni della fede) e, così, entrare pian piano, con rispetto e discrezione, pure disposti a rimanere sulla soglia …, nella storia unica, originale, irripetibile di ciascuno. E farlo col gesto accogliente dell’amico e, poi, col cuore del ministro del Vangelo della misericordia.
Cos’altro? Vuol dire coinvolgere chi canta, chi danza ... il «tecnico» audio e quello del suono, il costumista e lo scenografo. Tutta gente che di professione fa altro, ma custodisce nel cuore un desiderio, che nell’intimità della casa coltiva un hobby che ora può donare agli amici… Tutto questo per giorni e per mesi, scegliendo le ore serali in cui è più facile stare insieme, ritrovarsi, fare tardi…
E così si rinsaldano i vincoli, si allargano gli spazi della comunione, ci si ritrova alla Messa domenicale per l’incontro col Signore e anche per l’incontro fra amici. Così la Domenica non è più un precetto, ma un bisogno che urge nel cuore di chi è credente senza cessare di essere uomo, donna, amico,giovane, anziano, malato perfino, abitante nello stesso quartiere, nello stesso condominio. E la parrocchia si riscopre pian piano famiglia di famiglie. Sì, non si gira attorno alla pastorale, ma si fa pastorale. Si diventa «pastori». Desideravo metterlo in luce, ora che d. Giuseppe celebra i vent’anni dalla sua ordinazione sacerdotale.
Non ho ancora detto nulla su questi «frammenti di vita … su un palco». Finirò con quattro parole, giacché quattro sono le storie. Il loro ordine? Forse meglio partire dal centro, ossia da quell’Innocente messo sotto processo, messo sopra una croce, messo nella Gloria. L’Apocalisse lo chiama Amen, Testimone fedele e verace (3,14). Poi ci sono due suoi testimoni: uno antico, Agostino con la sua madre; uno moderno, Giovanni Paolo II, fra non molto iscritto anch’egli nell’elenco dei santi. Da ultimo, una storia che può diventare la storia di chi sostenuto da testimoni, testimone può diventarlo anch’egli.
Scrive Papa Francesco nella sua prima enciclica: «Il passato della fede, quell’atto di amore di Gesù che ha generato nel mondo una nuova vita, ci arriva nella memoria di altri, dei testimoni, conservato vivo in quel soggetto unico di memoria che è la Chiesa» (Lumen Fidei, n. 38).
+ Marcello Semeraro
Vescovo di Albano Laziale
http://loradelsalento.diocesilecce.org/frammenti-di-vita-su-un-palco
Ecco a voi la gemma ......" FRAMMENTI DI VITA ...SU UN PALCO".